Stare in disparte, isolarsi è il significato della parola hikikomori, termine che deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi in Giappone, un fenomeno di dimensioni tali da aver creato allarme sociale ed una particolare attenzione ad adolescenti e post-adolescenti. Adolescenti e giovani adulti (14-25 anni) che per un periodo superiore ai due mesi scelgono di non uscire di casa, isolandosi completamente dal mondo esterno, da amici e familiari.

Il termine hikikomori, coniato agli inizi degli anni’80 da Saito Tamaki, un noto psichiatra giapponese, nasce per definire un fenomeno che si esprime attraverso il ritiro sociale, una volontaria reclusione dal mondo esterno, una forma di auto-esclusione, isolamento dal contesto sociale e rifiuto totale non solo per ogni forma di relazione, ma anche per la luce del sole (alcuni giovani hikikomori sigillano le finestre con carta scura e nastro adesivo). La vita di questi giovani segregati si svolge all’interno della propria camera, i quali dormono di giorno e vivono solo di notte, una vita in cui le uniche forme di interrelazione avvengono attraverso Internet, videogiochi o libri, evitando qualunque tipo di comunicazione e di relazione diretta con altri individui. Le caratteristiche di un simile auto-isolamento si esprimono attraverso un totale rifiuto di una qualunque tipologia di rapporti interpersonali non solo esterni, ma anche all’interno del proprio nucleo familiare in cui persino i genitori vengono esclusi da ogni forma di interazione e l’unica forma di contatto filiale è rappresentata dal passaggio del cibo attraverso la porta della propria stanza. In tale situazione, quindi, ciò che si altera non è solo la nozione di tempo e spazio, con la conseguente inversione del ritmo giorno/notte, ma il disagio psichico vissuto si esprime anche attraverso una sorta di regressione infantile.

Tra le principali cause del fenomeno sono state elencate il forte disagio all’interno del contesto familiare e sociale, l’interdipendenza fra genitori e figli, le forti pressioni psicologiche da loro esercitate sui figli.

Dipendenza e conformismo sono intesi nella cultura del Giappone come una forza unificatrice del gruppo che tende verso l’armonia, si tratta di valori culturali in sé in grado di influenzare, guidare e condizionare tutte le emozioni di un popolo estremamente legato alle proprie tradizioni culturali. Il concetto stesso di dipendenza si lega, nella psicologia dell’adolescente hikikomori, a quello di colpa e di vergogna per non essere stato in grado di reggere la pressione e la richiesta di efficienza. La vergogna condiziona gli avvenimenti, ma aumenta soprattutto il conflitto interiore per aver tradito e abbandonato in qualche misura lo spirito del gruppo (Moretti, 2010).

Un rifugio, quello dell’isolamento hikikomori, volto a difendersi da ipotetici e probabili fallimenti, delusioni procurate proprio da genitori animati da altissime aspettative sul futuro professionale dei loro figli.

Un ritiro quindi e non una malattia, in cui la volontaria reclusione viene alimentata anche da cause connesse a quel sistema sociale tipico della cultura giapponese nel quale questi giovani vengono etichettati come viziati, ma non malati, “disertori” dello spirito di gruppo e del senso del dovere. Una realtà in cui l’individuo viene riconosciuto solo perché parte del gruppo, espressione di conformità, consenso, fedeltà e soprattutto mancanza di conflittualità verso gli altri membri del proprio gruppo. Il singolo deve necessariamente liberarsi e reagire ad una condizione sociale dominante attraverso la gruppalità e l’ estrema efficienza (Moretti, 2010). Questo sottogruppo di giovani giapponesi, gli Hikikomori, sembra non essere in grado di conformarsi, anzi, sembra addirittura intento a ribellarsi con una sonora protesta di ritiro silenzioso.

La reclusione appare così l’unico strumento per manifestare il proprio dissenso o il proprio disagio rispetto ad un gruppo e alle sue norme. Tale interpretazione sembrerebbe confermata dalle testimonianze di tanti giovani ex Hikikomori che, in genere, dichiarano di essere nauseati dal fatto che il loro modo di vedere le cose e la società non corrisponde alle attese, tanto da non avere altra scelta che rinchiudersi in se stessi (Meligrana, 2013). Così, attraverso l’auto-isolamento, viene espresso il fatto di sentirsi un individuo profondamente sbagliato e non adeguato alla richiesta sociale e, attraverso il ritiro sociale, si crea una silenziosa aggregazione spontanea in reazione all’insofferenza verso un sistema socio-culturale soffocante.

E se, nella cultura occidentale, l’autoesclusione tende ad esprimersi attraverso la dipendenza da alcol, droghe e/o la negazione dei propri bisogni primari (come accade ad esempio nei disturbi del comportamento alimentare attraverso l’anoressia o la bulimia), i giovani orientali, figli di un contesto gruppale, scelgono invece, la via del silenzio (Moretti, 2010).

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