Gli uomini coltivano cinquemila rose nello stesso giardino (…) e non trovano quello che cercano. E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua. (…) Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore (Saint- Exupéry, 1943).
Il Piccolo Principe lancia un messaggio di ricerca, le sue parole esprimono la condizione umana d’oggi: proteso nel ricercare all’esterno i significati delle cose, l’uomo non si rende conto che s’allontana sempre più dalla fonte originaria interiore.
La solitudine tocca profondamente tutti gli uomini, è ineliminabile, ci accompagna per tutta la vita e per alcuni può diventare la strada della ricerca interiore.
Le solitudini possibili
La lingua inglese utilizza termini differenti per cogliere meglio le diverse sfaccettature della solitudine: aloneness indica l’essere fisicamente soli; loneliness il sentirsi emotivamente soli; mentre solitude si riferisce ad un sentimento positivo di separazione, indice anche di una certa maturità psichica. Nonostante questa maggiore precisione semantica nel definire la solitudine, ciò appare comunque insufficiente a cogliere l’ampiezza di tale vissuto: ci sono tante forme di solitudine quanti sono gli stili di vita (Castellazzi, 2013).
Nel corso della vita ogni uomo ha provato l’esperienza della solitudine, ognuno di noi ha un modo proprio di rappresentarla, di viverla o d’immaginarla. Esiste dunque una solitudine diversa per ognuno di noi e sarebbe probabilmente più utile parlare di solitudini al plurale e non di solitudine.
La solitudine dolorosa
Nonostante la solitudine offra all’uomo innumerevoli opportunità per maturare e divenire un soggetto autonomo, la solitudine è spesso ricettacolo di valenze negative. È vista come una condizione spiacevole, a volte spaventevole, che spesso diventa un nemico da fuggire a qualsiasi costo. Quando il dolore grida in silenzio dentro di noi siamo indotti a lacerare le nostre abituali relazioni interpersonali, e sociali, e a rinchiuderci nei confini di una solitudine che è più facilmente quella dolorosa, quella negativa, che non quella interiore, quella creatrice così fragile e vulnerabile (Borgna, 2011).
Nella sua opera La solitudine dell’anima (2011), Borgna distingue tra solitudine interiore (solitude): una solitudine creatrice chiamata anche solitudine dell’anima; e solitudine dolorosa (loneliness): una solitudine negativa che sconfina nell’isolamento. La solitudine può essere fonte di arricchimento e creatività, grazie al contatto con la propria interiorità oppure può essere vissuta come un’esperienza angosciante, capace di ibernare la persona attraverso un progressivo isolamento.
Nella solitudine dolorosa, negativa, ci sentiamo soli, ci sentiamo esclusi dalle altre persone, indesiderati, insignificanti. La solitudine in questo senso si avverte come qualcosa che ci viene imposto, si sente come punizione o rifiuto ed è radicata in un senso di carenza e inadeguatezza che può portare a rifiuto di sé e persino a sdegno e disperazione.
La persona lamenta l’esclusione dal contesto sociale, accusa gli altri ritenendoli responsabili della propria solitudine, enfatizza la propria sensibilità che, a suo dire, la rende vulnerabile nei rapporti umani, teme eventuali giudizi negativi, e ciò la induce al ritiro. Il senso di solitudine si enfatizza perché sembra che nessuno possa capire le difficoltà che si stanno vivendo e che si devono affrontare, con la sensazione di non poter contare su qualcuno con cui condividere, e da cui sentirsi compresi: il chiudersi e il compiangersi in solitudine diventano la soluzione privilegiata.
Quante contraddizioni e quante antinomie, quanti dimensioni e quante stratificazioni, si condensano in un’esperienza emozionale ed esistenziale, apparentemente semplice e lineare com’è la solitudine. La cosa più importante, in ogni caso, è la constatazione che una condizione di solitudine sociale possa essere sorgente, e causa, di malattia. (…) Ha bisogno di cura la solitudine dolorosa, la solitudine autistica, la solitudine-isolamento, che ci imprigiona nella separatezza e nella inclusione nei confini del nostro io; dai quali non è possibile uscire (Borgna, 2011).
Ci si sente soli persino quando si è tra la folla. Si può essere circondati da persone che conosciamo e che ci amano ma sperimentiamo ancora sensazioni di solitudine intensa. La solitudine è un sentimento di vuoto e di insignificanza. Ci si sente isolati e separati dal resto del mondo.
Nella solitudine-isolamento, si distinguono le forme determinate da malattia, dal dolore del corpo, dalla indigenza, dal franare di ideali, dalla perdita di umane relazioni, e quelle causate dal volontario distacco dal mondo, dal mondo delle persone e dal mondo delle cose, dalla intenzionale ricerca di motivi e di desideri unicamente individuali: sigillati dalla indifferenza, dalla noncuranza e dal disinteresse verso il destino degli altri-da-sé (Borgna, 2011).
La poetessa Alda Merini ha scritto: l’anima non sente dolore. L’unico dolore che può stare alla pari dell’anima è il suo esilio, la sua involontaria inadempienza (2000). Ci sono tante forme di esilio, ma esso principalmente accade quando non si riesce ad incontrare l’altro. Il mancato incontro con l’altro può far avvertire l’angoscia e l’abbandono, della diversità, dell’imponderabilità, dell’isolamento dall’altro.
Le solitudini forzate
Nella solitudine dolorosa troviamo le solitudini forzate, in genere imposte dalle circostanze della vita, quali la prigionia, gli handicap e la malattia, l’isolamento percettivo o l’abbandono di una persona cara. Esistono dei casi in cui l’individuo non può sfuggire alla solitudine: benché la società tenti di deprezzarla, esistono delle condizioni in cui l’esterno impone alle persone la solitudine. In questo caso all’uomo non rimane altro che soccombervi o servirsene. Le segregazioni in celle d’isolamento, le prigionie di guerra, le privazioni o le limitazioni sensoriali, dovute ad esempio a certe malattie (cecità, sordità, interventi chirurgici deprivanti), sono solo alcuni esempi di solitudine forzata. Ancora, esiste la solitudine della persona psicotica il cui mondo assume un significato personale, assolutamente non condivisibile con gli altri; la solitudine dell’anziano che si annienta in un senso di inutilità; la solitudine del lutto, con l’improvvisa caduta di un mondo co-costruito; la solitudine di chi si percepisce diverso ed emarginato.
In alcuni casi, la solitudine forzata è diventata la condizione che ha permesso l’espressione della fantasia. La creatività ha avuto l’opportunità di esprimersi, tant’è che alcune delle più grandi espressioni artistiche sono nate in condizioni d’isolamento. Dostoevskij, trovando in sé risorse spirituali che gli permisero di sopportare la prigionia, scrisse memorabili opere. Beethoven, la cui sordità l’ha portato ad isolarsi dal mondo, ha potuto sviluppare una grande sensibilità interiore, le sue opere più belle sono nate dal silenzio. La creatività, come modo per esprimere un mondo interno, non è solo prerogativa degli artisti, si può ritrovarla negli hobby, talora unici, delle persone comuni, come mezzo per esprimere le proprie attitudini.
L’importanza di una Relazione
Se il vissuto di isolamento può farci accecare, è dunque nella relazione limpida, autentica, che si può costruire il senso delle cose e dunque la modalità opportuna di affrontare la sofferenza. Per Martin Buber (1923) è dalla relazione che nasce il senso delle cose, anche nelle situazioni tragiche. E’ sul tra-noi che poggia la comprensione del mondo, di noi stessi e degli altri. E’ la relazione con l’altro ad avviare i diversi percorsi o anche, nella relazione d’aiuto, a riproporre un cammino intriso di speranza (De Luca, 2017).
Al giorno d’oggi, sono molto più frequenti le occasioni in cui la solitudine è vissuta negativamente, piuttosto che quelle in cui essa assume delle valenze positive e benefiche. Ciò è forse dovuto al fatto che siamo abituati ad una moltitudine di stimoli, informazioni, ad un contatto continuo, tutti elementi che finiscono con il far apparire la solitudine come perturbante. La persona che tende a vivere negativamente la solitudine non considera che anche quando si è soli non si è mai del tutto soli: si è sempre almeno in compagnia di se stessi, dei propri prodotti psichici. C’è la possibilità di rendere una fase della vita, vissuta come difficile, un’occasione di crescita personale.
Ciò permette di disinnescare gli aspetti negativi della solitudine, perché è come se la persona si dedicasse ad un serio tentativo di stare in contatto con se stessa capace di porre le basi per rendere il momento di solitudine la precondizione di ogni pensiero critico e di ogni attività creativa (Borgna, 2011).
La solitudine creatrice
Borgna esalta la solitudine dell’anima come un sentimento governato da una spinta creativa, un percorso intriso di crescita interiore. In senso positivo la solitudine può essere fonte di ispirazione creatrice o spirituale (che ricerca l’incontro con il trascendente) o, ancora, una solitudine introspettiva che, attraverso il silenzio, permette il contatto con i propri pensieri e le proprie emozioni.
In questa solitudine siamo perfettamente felici di essere con noi stessi, apprezzando e godendo della nostra compagnia. La solitudine può aiutare a entrare in contatto con il nostro vero sé. Ci permette di riflettere su noi stessi, sugli altri, sulla nostra vita e sul nostro futuro. Spesso la solitudine è un trampolino di lancio per una maggiore consapevolezza di sé, una maggiore creatività, nuove conoscenze e una nuova crescita. Questo tipo di solitudine viene scelta, è qualcosa che ci ripristina e ci ripara, che ci indica chi siamo e ci permette di raggiungere l’Altro.
Nella solitudine dell’anima ci sono le solitudini volute e ricercate: quelle del creativo, dell’asceta o di chi, nella quotidianità, sente il bisogno di ricercare un momento suo, per recuperare le energie disperse nel mondo, per ritrovare quella parte soffocata dall’affanno della vita, quando, invece, non è altro che una fuga dalle situazioni che non riesce a gestire.
La solitudine diviene condizione privilegiata e da ricercarsi per aiutare l’individuo ad integrare i pensieri interni con i sentimenti. Il saper star soli, rappresenta una preziosa risorsa: permette agli uomini di entrare in contatto con i propri sentimenti più intimi, di riorganizzare le idee, di mutare atteggiamento. Persino l’isolamento forzato può rappresentare un incentivo alla crescita dell’immaginazione creativa. La meditazione, la preghiera e, a livello inconscio, il sonno, operano questa trasformazione: costruire un momento di solitudine e di silenzio aiuta la persona a ritrovare se stessa.
Una forma di solitudine si realizza, tutti i giorni, come via di fuga dalla tensione della vita quotidiana. Alcune persone isolandosi riescono ad evitare un leggero stato di depressione o di apatia ed investono in creatività. Osservando le persone dedite prevalentemente al lavoro, sembra che non ne possano fare a meno.
Tutti i mali dell’uomo derivano dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo (Pascal)
Le reazioni ad un vissuto di solitudine sono le più disparate e a volte le più paradossali. L’uomo contrappone alla solitudine un mondo costellato da relazioni, disseminato di immagini ed accatastato da azioni. Nel tentativo di placare l’ombra incombente della solitudine, si procura le sofferenze e le gioie della vita. Per non ripetere l’esperienza della solitudine, l’uomo è disposto a tutto.
L’uomo può uscire dalla solitudine? No, tuttavia l’uomo vivendo in solitudine ha imparato a conviverci. Ognuno di noi, con le proprie capacità e con le proprie convinzioni, ha cercato una via e tracciato dei percorsi. Dalla solitudine non si può “uscire”, ma si può assegnarle un significato.
La solitudine contiene sia la depressione sia la reazione, sia la fuga sia la ricerca e quando l’uomo riesce a contrapporre la disperazione della vita alla speranza, le opere che realizza sono geniali. La solitudine non essendo solo disperazione è speranza e forza: esiste dunque una felicità nella solitudine. Cercando d’individuare un percorso, si rende necessario rieducare le persone alla solitudine rendendola uno strumento che permetta sia di realizzare un vero incontro, con il proprio sé, sia di far germogliare le emozioni che proviamo, leggiamo, sentiamo, compiamo ed inventiamo, sia di ridare valore al silenzio, come atto preparatorio al comunicare con gli altri. Ci sono felicità intense e profonde, le grandi felicità, che non rifiutano di partecipare alla felicità degli altri, e felicità effimere e inconsistenti, mondane e non interiorizzate, le piccole felicità. (…) La felicità, quella profonda, tende ad essere rivissuta nel segreto di una solitudine interiore che ne colga gli orizzonti di senso (Borgna, 2011).